Archivio per novembre, 2013

Introduzione alla fotografia attraverso l’ottica

lensPer inaugurare la nuova categoria Fotografia di Wirgilio, ho pensato di condividere la mia esperienza nello studio di questa affascinante disciplina. Questo articolo non ha la pretesa di essere una vera e propria guida, dato che non sarei assolutamente in grado di scriverne una, ma vuole essere un’introduzione per coloro che vogliono avvicinarsi a questa disciplina.

Spesso si pretende dalla propria macchina fotografica ciò che essa fisicamente non ci può dare e il motivo è che non si conosce bene la fisica che si nasconde, prima ancora che nella fotografia, dietro alla visione ad occhio nudo stessa.

occhio_camera

Tutto ciò che vediamo non è altro che la rappresentazione del nostro cervello di una radiazione elettromagnetica che percepiamo con i nostri occhi: la luce. È importante sapere che di tutte le radiazioni (innocue!) che ci investono, noi siamo in grado di percepirne con i nostri occhi solo una piccolissima gamma, che chiamiamo appunto luce visibile. Tutte le altre non possono essere viste dai nostri occhi, ma sono comunque presenti:

spettro

 

Snapshot_20131110_1

Test! Un esperimento che mi piace fare per svelare alcune delle radiazioni nascoste è questo: prendiamo un qualsiasi telecomando ad infrarossi, puntiamolo verso l’obiettivo di una macchina fotografica (anche un webcam) e scattiamo una foto premendo un tasto del telecomando. Il risultato sarà una debole luce proveniente dal led del telecomando, una prova che esso emette delle radiazioni che noi non possiamo percepire, ma che il sensore della macchina fotografica percepisce e trasforma in luce visibile.

Non bisogna farsi ingannare dal fatto che la luce del telecomando risulti bianca, nonostante il nome infrarosso. La luce emessa è infatti di un colore che non esiste, ed è la macchina fotografica a trasformarlo in un colore violaceo.

Tornando al discorso iniziale, in presenza di una fonte luminosa (una lampadina in una stanza buia), la luce rimbalza sugli oggetti circostanti e si diffonde in tutte le direzioni, fino ad arrivare ai nostri occhi. Qui, mediante una combinazione di lenti (cornea e cristallino) la luce viene concentrata su una piccola areola che è la retina, dove viene convertita in un impulso elettrico che viaggia fino al cervello.

Per vedere correttamente sono necessarie due condizioni:

  1. La luce deve essere focalizzata esattamente sulla retina
  2. La luce deve avere la giusta intensità

Mediante una serie di muscoli siamo in grado di modificare la curvatura dell’occhio per mettere a fuoco gli oggetti: se i raggi di luce non convergono esattamente sulla retina, l’immagine che osserviamo risulta sfocata.

focus

L’inclinazione dei raggi rispetto al nostro occhio dipende da quanto questi sono distanti da noi. I raggi provenienti da oggetti molto lontani ci arriveranno pressoché paralleli, mentre quelli provenienti da oggetti vicini risulteranno divergenti.

Test! Un semplice esempio consente di capire questo concetto: tappiamoci un occhio e poniamo il nostro dito indice a 10 cm di distanza dall’altro occhio; osservando attentamente il dito, notiamo che tutto ciò che è sullo sfondo diventa molto sfocato. Se invece osserviamo con attenzione un oggetto posto a 3-4 metri da noi, tutto ciò che è sul suo sfondo risulta essere molto più chiaro.

Quindi, se il sistema di lenti dell’occhio è configurato in modo da osservare oggetti molto vicini (e quindi raggi divergenti) tutto ciò che è lontano (raggi paralleli) risulterà sfocato, e viceversa.

L’altra condizione di cui parlavo è l’intensità della luce. L’organo che regola la quantità di luce che perviene ai nostri occhi è la pupilla, che può aprirsi e chiudersi grazie a degli appositi muscoli.

pupil

Test! Vediamo un semplice test che possiamo fare per evidenziare gli effetti della dilatazione della pupilla. Entriamo in una stanza quasi buia e chiudiamo gli occhi per qualche minuto. Riaprendoli, noteremo come la dilatazione delle pupille ci consenta di vedere abbastanza bene anche in quasi assenza di luce. Osservando per qualche secondo una forte fonte luminosa, come il display di un cellulare, l’immediato restringimento delle pupille ci riporterà alla cecità iniziale.

Un altro effetto legato alla dilatazione della pupilla, forse un po’ meno evidente, è la diminuzione dei dettagli percepiti.
Osserviamo la seguente immagine:

dof

I numeri 123 costituiscono dei punti luminosi. Nell’immagine sono rappresentati solo tre raggi luminosi, ma potete immaginare i punti come sorgenti di infiniti raggi luminosi, in tutte le direzioni. Il 5 è la retina, ossia ciò che noi vediamo, nel rettangolo a destra.
Il punto 2 è l’unico messo a fuoco correttamente, infatti i raggi riflessi dalla lente convergono in un solo punto.

Nel primo caso, in cui i raggi luminosi attraversano tutta la lente, si può notare come i raggi che passano per i bordi sono molto più deviati rispetto a quelli che passano per il centro, per via della geometria stessa della lente.

Nel secondo caso i punti luminosi sono gli stessi, ma viene posto un ostacolo (4) davanti alla lente che impedisce ai raggi passanti per i bordi di finire sulla retina. In questo modo l’immagine sarà meno luminosa, perché meno raggi impattano sulla retina, ma sarà molto più dettagliata, dato che i raggi passanti per il centro della lente risultano meno deviati.

Questo fenomeno non è molto visibile ad occhio nudo, dato che la pupilla si dilata solamente al buio, quando i dettagli sono già attenuati dall’assenza di luce. In fotografia, dove è possibile gestire questo parametro liberamente, si parla di variazione della profondità di campo.

 

La fotocamera

Ora che abbiamo capito come funziona l’occhio umano, cerchiamo di capire quali sono le differenze con la fotocamera.
Per prima cosa, vediamo quali sono gli elementi essenziali di una fotocamera.

camera_basic

 

Abbiamo:

  • Obiettivo: costituito da una lente, un otturatore e il diaframma, è l’equivalente del sistema cornea-cristallino nell’occhio
  • Diaframma: posto all’interno dell’obiettivo, funge da pupilla
  • Film: è una pellicola, o un sensore elettronico nelle macchine digitali, su cui viene impressa l’immagine (equivalente della retina)

Quando viene scattata una foto l’otturatore si apre, la luce proveniente dal soggetto entra nell’obiettivo, passa attraverso il diaframma e impatta sulla pellicola, dove viene impressa. Questo tipo di macchina fotografica è molto essenziale e ha un grosso problema: non è possibile osservare direttamente l’immagine che finirà sulla pellicola. La luce che passa per l’obiettivo finisce infatti direttamente sulla pellicola e per scattare è presente un mirino che non usa l’immagine dell’obiettivo ma che ha caratteristiche simili a questo.

Un tipo di macchina fotografica che supera questo limite è la  single-lens reflex (SLR), detta così perché utilizza un singolo obiettivo sia per prendere la mira che per scattare la fotografia.

camera

 

Nell’immagine si nota come la luce proveniente dall’obiettivo non finisca direttamente sulla pellicola, ma passi per uno specchio che la reindirizza al mirino. Quando viene scattata la fotografia, lo specchio si solleva permettendo alla luce di impressionare la pellicola.

 

Regolazioni

Le macchine fotografiche odierne hanno centinaia di funzioni, più o meno utili, più o meno complesse, ma le regolazioni basilari, molto simili a quelle dell’occhio, sono e resteranno sempre:

  • Tempo di esposizione (s)
  • Apertura del diaframma (1/f)
  • Sensibilità (ISO)
  • Fuoco (mm)

 

Tempo di esposizione

espoIl tempo di esposizione è il tempo durante cui viene fatta entrare la luce all’interno della macchina. Mentre l’occhio elabora di continuo tutta la luce che penetra al suo interno, la macchina fotografica ha un otturatore che viene aperto per un certo intervallo di tempo solo quando si scatta una fotografia.

Dato che la pellicola (così come il sensore) è sensibile a quanta luce impatta nel tempo, maggiore è il tempo di esposizione e maggiore sarà la luminosità della foto. Dato che questi tempi sono in genere molto brevi, si esprimono come frazioni di secondo:
1/2 s, 1/30 s, 1/500 s, ecc…

Tempi lunghi consentono foto luminose anche in condizioni di scarsa luminosità, ma richiedono che il soggetto (e il fotografo!) siano immobili durante tutto il tempo di esposizione.
Se il soggetto si muove durante lo scatto, andrà ad impressionare più punti della pellicola risultando nel classico effetto mosso.

mosso

 

In genere si cerca di evitare questo effetto, dato che provoca una perdita del dettaglio, ma può essere utilizzato volutamente per ottenere degli effetti artistici o per creare dinamicità nella foto.

Panning. Il panning è una tecnica fotografica in cui si sfrutta il contrasto tra il moto del soggetto e lo sfondo. Un esempio si può riprodurre utilizzando tempi di posa non troppo brevi e seguendo con la fotocamera il movimento del soggetto durante tutto il tempo di posa. In questo modo il soggetto risulterà “fermo” rispetto alla macchina fotografica, mentre tutto il resto verrà mosso.

panning  polping

 

Fireworks. Un altro caso in cui l’effetto mosso è voluto, è quello dei fuochi d’artificio. Un tempo di posa breve mostrerebbe soltanto un puntino luminoso in cielo, mentre un tempo di posa lungo permette non solo di immortalare l’intero moto dei fuochi, ma anche di sovrapporre più scie.

fireworks  fireworks2

 

Apertura del diaframma

apertura_smallL’apertura del diaframma è l’analogo dell’apertura della pupilla. Il diaframma è un ostacolo regolabile posto davanti all’obiettivo per limitare la quantità di luce entrante. Aperture molto elevate aumentano la luminosità della foto, aperture più piccole la riducono.

Il valore numerico con cui si indica l’apertura è detto numero di stop, ed è indicato con f/numero:
f/1,4 f/2 f/2,8 f/4 f/5,6 f/8 f/11 f/16 f/22 f/32

Maggiore è il numero di f, minore è l’apertura del diaframma.

L’apertura del diaframma, a differenza del tempo di posa, non influisce soltanto sulla luminosità della foto. Come abbiamo visto prima, essa influisce sulla quantità di dettagli presenti in un’immagine, specialmente se il soggetto è poco distante dall’obiettivo.

Rivediamolo per chiarezza:

  • Soggetti molto vicini all’obiettivo impattano sulla lente con dei raggi molto divergenti tra loro
  • Soggetti lontani impattano con raggi quasi paralleli
  • I raggi di luce che incidono sui bordi della lente sono molto più deviati rispetto a quelli che passano per il centro

Per cui, se l’obiettivo è configurato per mettere a fuoco un soggetto vicino (raggi divergenti), i raggi dello sfondo (paralleli) che passano per i bordi della lente risulteranno molto sfocati. Chiudendo il diaframma eliminiamo tutti i raggi più esterni, aumentando il dettaglio dello sfondo.

dof1 dof2

Le due foto sono state ottenute con diverse aperture, la prima con apertura maggiore, la seconda minore. Dato che la chiusura del diaframma riduce la quantità di luce che colpisce la pellicola, per avere la stessa luminosità è necessario aumentare il tempo di esposizione.

Bokeh. La ridotta profondità di campo può essere utilizzata come effetto artistico, il bokeh. Un particolare utilizzo di questa tecnica è detto shaped bokeh e consiste nel porre davanti all’obiettivo un opportuno diaframma di forma personalizzata, il cui effetto è quello di rendere tutte le luci sullo sfondo di quella stessa forma.

bokeh3  bokeh2

 

Sensibilità

La sensibilità, misurata in numeri ISO, è la velocità con cui la pellicola (o il sensore) reagisce alla luce. Nella fotografia analogica, essa è una caratteristica della pellicola stessa e non può essere quindi modificata tra due scatti dello stesso rullino. Nella fotografia digitale è invece un’impostazione del sensore e può essere modificata con facilità.
Valori tipici sono:
80, 100, 200, 600…

A parità di altri parametri, un numero di ISO più elevato comporta una luminosità maggiore della foto. Ciò permette di utilizzare tempi di posa più brevi ed evitare l’effetto mosso nel caso ad esempio di fotografia sportiva in condizioni di scarsa luminosità.

Utilizzare numeri di ISO troppo elevati comporta però uno svantaggio, che è la formazione di rumore nella foto, ossia un disturbo granulare che abbassa la qualità dell’immagine. Generalmente, maggiore è il numero di ISO e maggiore è l’intensità del rumore, per cui, a meno che non sia necessario, è sempre preferibile utilizzare numeri di ISO bassi .

iso

 

Il triangolo dell’esposizione

Le prime tre regolazioni di cui abbiamo parlato, tempo di esposizione, apertura del diaframma e sensibilità, costituiscono insieme il cosiddetto triangolo dell’esposizione. Per ogni condizione di luce esistono infatti più combinazioni di questi parametri che consentono una corretta esposizione. Rivediamole nella seguente tabella:

  Valori elevati Valori bassi
  Pro Contro Pro Contro
Tempo di posa – Maggiore luminosità – Effetto mosso – Foto ferme – Scarsa luminosità
Apertura diaframma – Maggiore luminosità – Perdita dettagli – Maggiori dettagli – Scarsa luminosità
Sensibilità – Maggiore luminosità – Minore qualità – Maggiore qualità – Scarsa luminosità

Ovviamente i pro possono essere dei contro e viceversa a seconda degli effetti che si vogliono ottenere. Come fare dunque per scegliere la giusta combinazione dei tre parametri? La risposta dipende dal tipo di fotografia che vogliamo realizzare, ma vediamo alcuni esempi:

  • Soggetto in movimento (fotografia sportiva): richiede tempi di posa brevi (tipicamente inferiori a 1/200 s) che comportano scarsa luminosità, per cui si cerca di aprire quanto più è possibile il diaframma e se non è sufficiente si alza il numero di ISO (sensibilità)
    uovo
  • Ritratto: generalmente nei ritratti si cerca si ridurre la quantità di dettagli sullo sfondo, in modo da esaltare l’immagine del soggetto e per questo motivo si utilizzano diaframmi molto aperti. Il tempo di posa deve essere sufficiente a garantire l’assenza dell’effetto mosso, mentre il numero di ISO è da mantenere al minimo possibile per garantire la qualità della foto
    roby  ritratto
  • Panorami notturni: questo tipo di fotografia richiede tempi di posa molto lunghi (generalmente oltre i 5 s) e un’attrezzatura che consenta di tenere la macchina fotografica ferma a terra. Valori di apertura intermedi e numeri di ISO bassi servono a mantenere alti i dettagli e basso il rumore
    napoli

 

P-A-S-M

pasmPer semplificare la regolazione dell’esposizione, ogni macchina fotografica (seria) ha quattro modalità predefinite identificate da una lettera: P, A, S, M. Ognuna di queste modalità modifica automaticamente il tempo di posa e l’apertura del diaframma, in modo da consentire sempre una corretta esposizione:

  • P (Program mode): in questa modalità è tutto automatico. Il diaframma è impostato su un valore intermedio (generalmente quello che garantisce un maggiore dettaglio) e il tempo di posa è tale da garantire una corretta esposizione. Esempi di utilizzo: la maggior parte dei casi.
  • A (priorità Aperture): è possibile scegliere liberamente l’apertura del diaframma, il tempo di posa verrà valutato di conseguenza. Esempi di utilizzo: ritratti, bokeh.
  • S (priorità Shutter): è possibile scegliere un tempo di posa, l’apertura verrà valutata di conseguenza. Esempi di utilizzo: fotografia sportiva, panning.
  • M (Manual): sia tempo di posa che apertura possono essere scelti liberamente. Esempi di utilizzo: condizioni di luce particolari, posa bulb (tempo di posa personalizzato).

Generalmente il numero di ISO non viene cambiato da queste modalità, ma alcune macchine fotografiche permettono di variarlo automaticamente in base al tempo di scatto massimo che si vuole utilizzare. Se uno scatto rischia di risultare mosso, il numero di ISO viene aumentato per ridurre il tempo di posa.

A queste modalità si aggiunge quella totalmente automatica (AUTO), che oltre a regolare l’esposizione cerca di scegliere valori ottimali anche per il flash, la modalità di messa a fuoco, la sensibilità ISO e altre impostazioni varie. Spesso chi non sa utilizzare la macchina fotografica scatta sempre in modalità automatica, ma i risultati ottenuti con una delle tre modalità semiautomatiche (P, A, S) possono risultare di gran lunga migliori!

 

Fuoco

Quest’ultima regolazione, a differenza delle precedenti, non influisce sulla luminosità dell’immagine ma sulla sua sfocatura. Abbiamo già visto che per ottenere un’immagine nitida di un oggetto, i raggi provenienti da esso devono convergere in un punto sullo schermo. In caso contrario (vedi immagine seguente) l’immagine risulterà sfocata:

fuoco

Per far convergere i raggi in un solo punto è possibile cambiare due parametri: la distanza della lente dallo schermo e la sua curvatura. Dato che cambiare la curvatura di una lente (di vetro) è complicato, si agisce sulle distanze. Modificando la messa a fuoco si sposta infatti una lente all’interno dell’obiettivo.

Il parametro con cui si identifica la messa a fuoco è la distanza del piano focale, ossia la distanza dei punti che risultano essere correttamente a fuoco. È importante notare che soltanto un piano di punti sarà correttamente a fuoco in una fotografia, dato che punti a diverse distanze dall’obiettivo verranno deviati diversamente dalla lente.

sfuoco

Questo fenomeno è tanto più accentuato quanto più il soggetto è vicino alla lente: se il soggetto si trova a cento o quattromila metri dall’obiettivo, i raggi provenienti da esso che incidono sull’obiettivo saranno praticamente gli stessi. Se un soggetto dista cinque o dieci centrimetri la differenza è molto più marcata!

distanze

Le modalità di messa a fuoco delle macchine fotografiche moderne sono tantissime e sfruttano le tecniche  più svariate. Tra esse, quella che io preferisco è quella automatica per hotspot. In questa modalità è possibile scegliere un singolo punto del mirino su cui mettere a fuoco automaticamente. Così si può essere sicuri che la macchina fotografia stia mettendo a fuoco esattamente il soggetto che abbiamo scelto.

Ci sarebbero ancora molti argomenti da trattare, ma per il momento mi fermo qui, in attesa del prossimo articolo in cui entreremo più nel dettaglio della materia.

 


Semplificarsi la vita con MATLAB

spyScrivo questo breve articolo per suggerirvi qualche trucchetto che può semplificarvi la vita lavorando con MATLAB.

Cerca su Google da command window

Molto spesso mi capita di dover cercare rapidamente qualcosa su Google, mentre lavoro nella console di MATLAB. Specialmente quando lavoro sul netbook, dove ho davvero poca RAM disponibile, aprire Chrome per una rapida ricerca è davvero un supplizio.
Allora ho pensato: perché non utilizzare il browser integrato in MATLAB?
Detto fatto.

Ecco una semplice funzione che richiama il browser integrato per effettuare ricerche immediate:
Download google.zip
Mostra codice ▼

In questo modo basterà digitare google(‘oggetto da cercare’) per aprire il browser di MATLAB.

No, I do mean Wirgilio!

.

Avvia il debug durante l’esecuzione

Durante l’esecuzione di script molto lunghi è fondamentale essere sicuri che il codice stia funzionando correttamente. MATLAB mette a disposizione un comando molto utile che permette di investigare durante l’esecuzione del codice: keyboard.

Il comando è molto semplice è intuitivo, ma il problema è: come faccio ad attivarlo quando decido io? Ad esempio, sto osservando i risultati di uno script ogni tot iterazioni attraverso una figura, quando mi accorgo che qualcosa sta andando storto e voglio avviare il debug. Come fare?
L’idea è quella di utilizzare una variabile presente all’interno delle figure, ossia CurrentCharacter. Quando si preme un tasto della tastiera attraverso una figure, la variable CurrentCharacter assume il valore pari al tasto premuto.

Con una semplice riga si può quindi avviare il debug premendo un tasto della tastiera, in questo caso la lettera k.

if get(gcf,'CurrentCharacter') == 'k', keyboard, end

Per continuare l’esecuzione sarà sufficiente chiudere la figura e premere F5.

Esempio di utilizzo:
Mostra codice ▼

.

Focus delle figure

Quando una figure di MATLAB viene selezionata, questa acquisice il focus e viene mostrata davanti a tutte le altre finestre. Se si sta lavorando al codice durante l’esecuzione, può succedere che il continuo apparire delle figure ci impedisca di fare qualsiasi altra cosa.

Una possibile soluzione è quella di utilizzare la funzione set per cambiare la figura attiva, invece del classico figure().

Esempio di utilizzo:
Mostra codice ▼

.

Figure a schermo intero

Un altro comando che utilizzo molto spesso è quello che permette di aprire una figure a schermo intero. Il trucco è definire le unità normalizzate quando si crea la figura:

figure('Units','normalized','Position',[0 0 1 1])

L’attributo Position richiede un array di quattro valori: [Posizione_x, Posizione_y, Larghezza, Altezza]. Utilizzando le unità normalizzate sarà sufficiente inserire valori unitari per larghezza e altezza.
Questo tipo di unità permette anche una più agevole disposizione delle figure sullo schermo, indipendentemente dalle sue dimensioni.

Esempio di utilizzo:
Mostra codice ▼

finestre

 

.

Barra di caricamento

Una delle funzioni che adoro di MATLAB è senza dubbio la waitbar.
Ideale quando un codice richiede più di qualche istante per essere eseguito!

L’utilizzo è estremamente semplice, riporto direttamente l’esempio dall’help di MATLAB:

h = waitbar(0,'Please wait...');
for i=1:1000,
% computation here %
waitbar(i/1000,h)
end

Se le iterazioni sono molto rapide, come nel codice dell’esempio, la chiamata a waitbar può essere più lenta del calcolo che viene effettuato durante l’iterazione stessa e può rallentare drasticamente l’esecuzione del codice! Per evitare ciò, vi consiglio di utilizzare sempre una condizione che aggiorni la waitbar un numero sensato di volte:

h = waitbar(0,'Please wait...');
 for i=1:1000,
     % computation here %
     if mod(i, 100) == 0
        % Questo codice viene eseguito solo ogni 100 iterazioni
        waitbar(i/1000,h)
     end
 end

wait